luvaz

domenica 30 settembre 2007

Film Russo

Oggi ho visto un film, I guardiani della notte, senza interruzioni pubblicitarie e con poche, ma sempre moleste, incursioni telefoniche (servizio chi è gratias) Il film è di quelli che meritano: girato a Mosca, la produzione è russa e anche l'autore del libro da cui è stata tratta la sceneggiatura lo è, Sergei Lukyanenko.Ho apprezzato molto la fotografia e i costumi. I colori delle scene esterne sono magnifici. Però qualcosa non quadrava, forse perchè abituata alla grande produzione americana questo film a confronto fa una figura così e così. Anche se, visto che prometteva così bene ( è stato fatto nel 2004), la FoX ne ha finanziato la distribuzione e sta finanziando il secondo e il terzo di questa trilogia alla matrix. Non essendo io una critica cinematografica ( per carità chi ha mai desiderato esserlo! )vi rimando, se vi intererssa, alla recensione che più condivido fatta da questo magazine (http://www.horrormagazine.it/cinema/1666/)

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venerdì 28 settembre 2007

la felicità

radical chic sarà lei, io sono una proletaria! Per me chi sporca è uno stronzo. Sono un'igienista, amo l'ordine e la pulizia (in questa affermazione mi sento tanto Mariarca ).

Chi ruba per necessità non è uno stronzo. Il sottoproletario fuori la via nova (non sei napoletano non puoi capire di chi parlo) che vive nei bassi della Sanità, va allo stadio con la "cacaina" nella testa già vuota, scippa gli incauti turisti e i napoletani distratti per comprarsi le ultime novità di D&G, per me è uno stronzo, eccome! Campi di lavoro nel ricco settentrione di Italia ecco la soluzione. Mi sono rotta del pietismo e della compenetrazione. Certo che una soluzione definitiva, in una prospettiva di lungo termine, è la trasformazione di questa società senza speranza dove gli abitanti del mondo liquido inseguono una grande utopia: rendere l'incertezza meno terribile, la felicità più permanente.(1)

(1) Bauman Zygmunt, Modus Vivendi

Inferno e utopia del mondo liquido

Tu che mi leggi sei felice?

martedì 18 settembre 2007

disturbo da stress post-traumatico

Una volta sono stata scippata e un'altra volta, una dolce sera di aprile di qualche anno fa, ho subito un tentativo di rapina proprio sotto al palazzo di casa. Era un tentativo perchè, grazie a mio marito, il rapinatore che affermava di essere dotato di pistola se ne scappò sentendo per la seconda volta:" T' n' vai?Vattenn'!"E non era da solo, ma con un complice su una moto. Non potrò mai dimenticare quelle sensazioni di paura prima e sollievo poi quando il rapinatore decise che era meglio andarsene. Forse perchè era stato preso in contropiede con quell'esclamazione. Non so. Il fatto è che adesso quando rientro a casa di sera o di notte, non sempre, appena metto la chiave nel cancello penso che qualcuno stia per avvicinarsi , così mi giro ma dietro di me non c'è nessuno.
L'articolo è dal corriere del mezzogiorno buona lettura.
NAPOLI — Si chiama «disturbo da stress post-traumatico ». Una condizione che abbraccia il 20% delle vittime di un evento doloroso. In genere una catastrofe naturale. E a Napoli a soffrirne — paragone scientifico, in apparenza incredibile — sono coloro che hanno subito un'aggressione per rapina. Un trauma, che può diventare una patologia psichica. Sogni angosciosi, ricordi intrusivi e ricorrenti e stato di allerta. Il trauma di un'aggressione, secondo gli esperti, a Napoli può diventare quasi una malattia. Ed è così che nasce uno studio condotto dal dipartimento di psichiatria della seconda Università di Napoli che ha valutato la frequenza dei sintomi post-traumatici in un campione di 301 persone che si erano rivolte alla questura per denunciare di essere state vittime di un'aggressione a scopo di rapina. Sono stati alcuni medici con addestramento specifico ad intervistare le persone che avevano appena subito il trauma, grazie ad una sinergia tra l'università e le forze di polizia. Lo studio segue ad altri due (uno sulle vittime del bradisismo di Pozzuoli, l'altro sull'alluvione di Sarno) del dipartimento diretto da Mario Maj, presidente della società mondiale di psichiatria. Dalla ricerca è emerso con chiarezza che i sintomi post-traumatici colpiscono soprattutto le donne e gli anziani. «Gli elementi comune agli intervistati — spiegano i medici — sono la rassegnazione rispetto all'inevitabilità di eventi criminosi in città, un paradossale senso di colpa per le disattenzioni e i comportamenti avventati che possono aver contribuito alla realizzazione dell'evento (la persona tende a sentirsi colpevole anche verso i familiari, per aver percorso una determinata strada o lasciato l'auto in un posto specifico), rabbia verso le istituzioni e le persone che eventualmente hanno assistito alla rapina e la convinzione che in città le rapine spesso vengono attuate non per bisogno, ma per sfizio o sfregio». Ma dopo la rabbia subentrano nella mente delle vittime i ricordi disturbanti, gli incubi e la sensazione improvvisa che l'evento possa ripetersi, con un senso di distacco emozionale e di estraneità rispetto a quanto accade intorno. Nei casi più gravi addirittura incapacità a provare piacere nei mesi successivi e ad avere sentimenti pieni, ma l'evoluzione del disturbo è legata a diversi fattori, quali la natura dell'esperienza e, la fase della vita in cui è avvenuto il trauma e il contesto familiare e ambientale. Delle terapie per guarire lo stress post-traumatico e di temi sulla salute mentale, si discute da giovedì a sabato a Napoli nel congresso della società italiana di psicologia biologica, con 2500 delegati da tutto il mondo. «Siamo rimasti sorpresi dalla frequenza di questi sintomi — dice il professor Maj — e dal fatto che si accompagnano, in molti casi, a colpa e rassegnazione, mai descritti in persone con problemi del genere in altre città ». Non tutti comunque reagiscono allo stesso modo. Una donna ha addirittura dichiarato di aver subito tante rapine da non provare più nessuna emozione «anzi — avrebbe detto la signora — ora preferisco dare i consigli al ladro di turno su come concludere la rapina al più presto ». Questione di sopravvivenza.Alessandra Barone

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lunedì 10 settembre 2007

Genova '01

Ieri sera ho visto su rai tre il programma blu notte sui fatti di Genova. Come ogni volta che guardo un documentario su quegli epiosodi comincio a sentirmi male fisicamente:mi sale il sangue alla testa e mi viene il nodo alla gola.
Mi incazzo, mi mortifico e mi offendo (soprattutto la mia intelligenza media si sente offesa) quando sento dire che tutti e tre i processi, come quello per le torture a Bolzaneto o quello per l'episodio di macelleria messicana alle scuola Diaz, rischiano di non arrivare alla sentenza definitiva ma soltanto al primo grado perchè può intervenire la prescrizione per quei reati commessi da alcuni esponenti delle forze dell'ordine. Come si legge sul sito del Comitato Verità e Giustizia per Genova: "con la prescrizione le vittime delle violenze e delle calunnie nella scuola "Diaz", degli abusi nella "galera di transito" di Bolzaneto, italiani e stranieri, non avrebbero una sentenza definitiva e neppure l’assicurazione del risarcimento per i danni subiti " e ancora: "sono in corso alcuni importanti processi dei quali nessuno si occupa: non i media (in primo luogo la televisione), non i quotidiani nazionali, non la società civile italiana." Chiaro che quest'ultima affermazione potrebbe essere smentita dall' andata in onda della trasmissione di ieri. Ma da quanto tempo il mezzo di informazione più utilizzato al mondo, più immediato, come la televisione non trattatava questi temi ? Ciò che più mi colpisce è che dopo sei anni sembra che molti, tranne chi c'era e ha subito quelle violenze, si siano dimenticati dei fatti di Genova soprattutto il nostro amato Governo di centro - sinistra (?) che a tutt'oggi non ha ancora istituito una commissione parlamentare d'inchiesta.

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giovedì 6 settembre 2007

Napoletani

Pubblico, riportandolo testualmente, l'articolo del Corriere del Mezzogiorno di stamattina, buona lettura.
Dario David, 27 anni, cresciuto a Scampia, in un saggio riprende le tesi del celebre medico e analizza i volti degli abitanti del centro storico
I napoletani? Somigliano ai criminali di Lombroso
«In effetti su un punto Lombroso aveva ragione: è vero che i ‘‘delinquenti'' oggetto del suo studio avevano tutti la ‘‘stessa faccia''. Ma da qui a dire che il comportamento violento è scritto nel nostro Dna, come sosteneva, ce ne vuole». Dario David, ventisettenne napoletano originario del Vomero ma cresciuto a Scampia, si è laureato in Scienze Naturali all'Università Federico II con una tesi che riprende, ‘‘viviseziona'', in parte boccia e in parte promuove la discussa teoria eleborata da Cesare Lombroso nella seconda metà dell'800.Il suo lavoro, durato circa due anni e mezzo, è diventato un libro, ‘‘La vera storia del cranio di Pulcinella: le ragioni di Lombroso, le verità dell'antropologia criminale'', che uscirà per i tipi di Magi Edizioni Scientifiche a fine mese. Una tesi ardita, quella di David, che in definitiva, al termine di un'analisi condotta con metodi scientifici, lo porta a dire che «l'identikit dell'abitante medio di alcuni quartieri del centro storico di Napoli, sostanzialmente coincide con il criminale- tipo individuato da Lombroso».Insomma, idea coraggiosa, la sua. Come minimo si guadagnerà l'epiteto di reazionario, se non di razzista... «Si, lo so; ma non è così. Quando ho proposto una tesi su questo tema al mio professore è inorridito, ma quando gli ho portato le prime evidenze scientifiche del mio ragionamento mi ha incoraggiato ad andare avanti. In fondo il mio lavoro parte dalla teoria di Lombroso, ma arriva a conclusioni diverse».Iniziamo dal principio: come l'è venuta l'idea di ragionare su questo tema? «Qualche anno fa ho subito un tentativo di rapina. Ho denunciato l'aggressione e, in commissariato, mi sono state mostrate una serie di foto segnaletiche: la somiglianza tra i soggetti schedati era sorprendente. Allora è iniziata la mia inchiesta. Ho scattato cento fotografie a soggetti adulti residenti nelle aree considerate ad alta densità criminale, e cioè, per il centro, Forcella, Sanità, Cavone e Quartieri Spagnoli, e, per la periferia, la cosiddetta 167, e altrettanti scatti li ho ‘‘rubati'' nei quartieri cosiddetti ‘‘bene'' della città. Di qui è iniziato il lavoro di classificazione scientifica».Cosa ne è venuto fuori e, soprattutto, che metodo di osservazione ha usato? «Ho analizzato i tratti somatici dei soggetti rientranti nel campione usando le tabelle di biotipologia umana. Senza dubbio esistono dei tratti preponderanti negli abitanti dei quartieri del centro. Ciò è dovuto al fatto che alcuni tratti somatici tendono a cristallizzarsi in luoghi particolarmente ‘‘chiusi'': non parliamo infatti di zone di ritrovo o boulevard turistici, ma di quello che Matilde Serao definì ‘‘Ventre di Napoli'', dove difficilmente si trova a passare chi non vi abita o lavora e dove spesso le famiglie si imparentano tra di loro riproducendo la stessa fisinomia».Certo, questo è abbastanza evidente, ma che c'entra Lombroso? In fondo lei ha ragionato su foto di gente comune, fino a prova contraria onesta, e non su soggetti criminali. «Certo, ma è venuto fuori che i tratti somatici comuni ai soggetti che abitano certe aree del Centro sono gli stessi che Lombroso rilevò nei ‘‘delinquenti'' napoletani e calabresi e che definì caratteri ‘‘abnormi e animaleschi''. Parliamo di individui robusti, non particolarmente alti, con un'attaccatura dei capelli decisamente bassa e una fronte sfuggente e ondulata, ovvero che se vista di profilo ricorda la sagoma stilizzata di un gabbiano. Ciò è dovuto al fatto che la struttura ossea retrostante alle sopracciglia, la gabella, è leggermente più sporgente. Per esempio, la presenza di una fronte sfuggente e ondulata si aggira intorno al 50 per cento degli uomini, e nel 64 per cento dei casi è abbinata agli altri caratteri tipici, invece nei campioni misti, prelevati da tutti gli altri quartieri della città, questa tendenza non supera il 12 per cento. Spesso anche la mandibola è più larga e quasi tutti gli individui presentano una circonferenza del collo relativamente molto robusta».Dunque?« La debolezza della teoria lombrosiana sta nel fatto che a quel tempo l'approccio non coniugava ecologia, etologia e sociologia. Mi spiego meglio. Oggi sappiamo che i crimini della piccola (e grande) delinquenza vengono compiuti con maggior frequenza da persone che abitano in zone con simili back-ground sociali, storici, urbanistici ed economici e che ai tempi di Lombroso — oggi solo in parte è così — delinqueva soprattutto chi abitava nei quartieri più poveri, dove la carriera criminale costituiva un'opportunità per sfuggire alla miseria. Dunque quando il medico torinese si trovò ad analizzare le persone in stato di arresto, forse ragionò così: in questo gruppo si somigliano fisicamente, in questo stesso gruppo si comportano similmente, dunque questi tratti somatici rendono l'uomo un delinquente. Ed è qui che ha sbagliato: la concomitanza fra tratti somatici e abitudini di vita, lo portò a proporre un principio diretto di causa-effetto per spiegare un fenomeno che in realtà è indiretto, ambientale e storico
».Chiara Marasca

lunedì 3 settembre 2007

ascensore per l'inferno

il titolo l'ho preso in prestito da quello di un film francese e relativa colonna sonora di miles davis. Ma il significato a cui mi riferisco è ben diverso. l'ascensore per l'inferno l'ho preso per tornare a Napoli, questo schifo di città dove son tornata dopo un lungo viaggio nella favolosa California.Lo so che non è necessario andar così lontano per realizzare di vivere in un posto dove la qualità della vita è così scadente.
Si va un pò più su di Roma e voila puoi vivere modestamente ma non temere che qualcuno ti apostrofi malamente giusto per sfizio, perchè si sente in diritto, perchè ha una capa malata piena di letame. Certo per vedere file ordinate dove ognuno rispetta il proprio turno bisogna salire ancora un pò più su per esempio Belluno.
Si sarà capito che questa è una provocazione. Il fatto è che non mi sento italiana, e adesso mi vergogno di essere napoletana.